sabato 4 settembre 2010

Il Centro antico e la trasmissione del sapere riguardante i Riti

di Fabiola Mancinelli

Ti scrivo  per esprimerti, sostanzialmente, il mio disaccordo su questa candidatura. Un dissenso che non sorge, ovviamente, da una considerazione dei Riti come inadatti a riassumere l’idea di patrimonio immateriale formalizzata dall’UNESCO. Tutt’altro. So bene che, per molti versi, essi rientrano perfettamente in quella definizione. Tuttavia, mi chiedo e ti chiedo: quale sarebbe l’obiettivo di un tale, eventuale, riconoscimento?

C’è una cosa che mi sembra importante in questo processo, ed è sicuramente lo sforzo di formalizzare la tradizione, di fissarla in dei documenti, per salvarla dal tempo e dall’oblio. In un tuo articolo pubblicato su ViviTelese ti chiedevi giustamente: In quale ‘contesto urbanistico’  si svolgeranno i futuri riti penitenziali tra sette, quattordici, ventuno anni? Come si  potranno tramandare di generazione in generazione? Come si  potranno costantemente ricreare in stretta correlazione con l’ambiente circostante e con la sua storia? Tuttavia, io credo che in queste parole si stia facendo di due una: per me si tratta di due questioni separate - una riguardante il degrado del centro storico e l’altra la trasmissione del sapere riguardante i Riti – e che la prima si ponga in maniera più urgente delle altre. Rimango scettica che, anche per salvare il centro storico, “la sola soluzione praticabile sia l’inserimento dei Riti nella lista dell’Unesco”.

Processione generale ritisettennali.info 001

Il centro storico è sicuramente uno degli elementi dei riti, ma lo è più fortemente ancora dell’identità guardiese, al di là dell’appuntamento settennale. Non è certo chiudendo il centro storico che si intacca lo spirito dei riti, giacché quelle stradine di pietra rimangono uno scenario, suggestivo, preziosissimo, ma non inerente direttamente “le pratiche, rappresentazioni, espressioni, conoscenze e i saperi – così come gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati ad essi”. Sicuramente, vedere quei cancelli ha provocato pena, indignazione, rabbia. Ma la dà anche vedere quei percorsi segreti (‘r c’rill) aperti ai napoletani in gita della domenica per mancanza di alternative. In quanto a loro, i riti non hanno subito stravolgimenti; sicuramente hanno portato sotto gli occhi di tutti lo stato di abbandono in cui è ridotto il nostro paese.

Ho una modesta conoscenza di meccanismi dell’Unesco, per il fatto di star svolgendo una tesi di Dottorato su una cultura la cui arte artigiana è stata da poco dichiarata Patrimonio Immateriale (Zafimaniry- Madagascar) e per essere legata emotivamente ad una festa catalana, la Patum di Berga, anch’essa rientrata nell’elenco dal 2005.

Queste piccole ma significative esperienze, in due contesti diversi ma in cui ho ritrovato gli stessi effetti collaterali – nel primo desiderati, trattandosi di un paese povero; peccato non poter dire lo stesso del secondo- mi hanno fatto maturare una convinzione che, ci tengo a precisare, è antecedente a questa riflessione sui nostri riti: l’inserimento nell’UNESCO è solo una grande operazione pubblicitaria. Di prestigio, sicuramente, ma di puro marketing. La dichiarazione servirebbe semplicemente a far arrivare più gente. Quello che, sì, potrebbe rimanere a noi è tutto il lavoro di raccolta e catalogazione dell’informazione, quella preparazione del dossier di candidatura che rappresenta un ottimo momento per riflettere sulla propria identità. A condizione che sia fatta come iniziativa comunitaria.

D’altra parte, non credo che dall’Unesco ci si potrebbe aspettare un appoggio per il risanamento del centro storico. L’inserimento nella lista del Patrimonio, infatti, per quello che ne so, non prevede finanziamenti ad hoc, nonostante includa alcune attività volte alla salvaguardia di aspetti specifici dei saperi oggetto della dichiarazione. Forse l’attenzione che ne deriverebbe potrebbe essere uno stimolo a “correre ai ripari” da parte delle nostre varie amministrazioni (comunale, provinciale, regionale)…però mi sembra che la questione sia in ballo da svariati anni e nessuno sia stato in grado di avanzare proposte serie per il recupero del nostro patrimonio architettonico. Fino ad arrivare ad un punto che sembra quasi di non ritorno. Ciononostante, ripeto, credo che la questione del centro storico poco abbia a che vedere con i riti, perché non ci sono elementi rituali (se non la chiesa e il suo sagrato) direttamente connessi con lo spazio in cui si svolgono le processioni.

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